Il caicio veneziano




Il caicio veneziano era diffusissimo fino agli anni 60 quando, ad esempio, molti studenti dello IUAV, ormai florida facoltà di architettura, lo prendevano a noleggio tra una lezione e l'altra. Il noleggio di caici era estremamente diffuso e basta girare un po' con una barchetta simile per Venezia per venire fermati da vecchie signore che con nostalgia ti raccontano di quando appunto si usava uscire con un caicio a noleggio.
Io sono nato nel 68 e di caici non ne ho mai visti. Quando ho cominciato ad interessarmi di costruzione di barche in legno, con un occhio di riguardo per quelle tradizionali, circa 10 anni fa, i caici si erano già estinti da tempo.
I motori e il moto ondoso, in 50 anni hanno fatto sparire diverse barche tradizionali, specie quelle da carico poco adattabili al motore. Sono rimaste da una parte quelle più piccole ed economiche, in grado di districarsi nel labirinto di canali cittadini, dall'altro quelle abbastanza grandi da non risentire troppo delle onde dei motoscafi e adatte a loro volta ad essere motorizzate.
Il caicio è di costruzione più complessa delle altre barche tradizionali, che sono tutte a fondo piatto, e non si voga bene negli stretti canali interni, sia perché con un remo solo, a bratto, si va piano, sia perché è scomodo guardare continuamente in avanti visto che si sta seduti verso poppa. D'altra parte per vogare piu' confortevolmente occorre raggiungere la laguna aperta attraversando la "tangenziale" ossia quell'insieme di canali ad alto traffico che circondano Venezia, stancandosi alquanto e imbarcando molta acqua.
Morale: non esistono più caici!
A giudicare dalle vecchie fotografie di Venezia, nonché da stampe, incisioni o dipinti più antichi, barchette tondeggianti da vogar seduti, non ce ne sono mai state a Venezia vista la scomodità di girar per canali. Solo al traino di grosse imbarcazioni da pesca o cabotaggio si trovavano.
Il boom del caicio venne probabilmente nell'ultimo dopoguerra, nel breve spazio di un trentennio, prima della motorizzazione di massa. Se ne sono costruiti in mille varianti chiamandoli tutti indistintamente caici: "a scandole imbrocchetade", ossia fasciame sovrapposto con ribattini di rame e ordinate flessibili, oppure fasciame liscio su ordinate sia segate sia flessibili o anche miste, oppure a fondo piatto con ordinate simili alle altre barche tradizionali, formate da una piana e due sanconi, con specchio di poppa a cuore oppure tondo, svasato oppure verticale. Insomma non ci sono due persone, tra coloro che a quel tempo usavano queste barche, che descrivano il caicio veneziano nello stesso modo. Tutti però lo ricordano con affetto per le ore spensierate regalate in laguna.

Il caicio, per la prima volta forse, impersonava la barca da diporto per antonomasia:
nata e vissuta proprio e solamente per divertirsi.
Difficile capire davvero i motivi della sua prematura estinzione, a parte le ovvie limitazioni di cui parlavo sopra.
Forse i maestri d'ascia locali non hanno fatto a tempo ad acquisire sufficiente dimestichezza con il tipo di costruzione, così diversa da quelle più tradizionali, lunghe, strette e, specialmente, piatte. Forse, la crisi generale che ha colpito, in tutta Italia, la costruzione di barche in legno, è stata fatale per quelle barche la cui diffusione non era sufficientemente estesa nello spazio e la cui memoria non lo era nel tempo.
Si son salvate solo quelle barche che, o per numero, o per praticità, o per semplicità costruttiva, o per fascino, avevano qualche carta in più delle altre. Burci, gabare, comacine, peate, caorline, batele, caici non ce l'hanno fatta, come molte altre barche in uso fino a cinquant'anni fa. Non si costruiscono più e, a mala pena, ne rimane qualche esemplare.



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